Quando le cose diventano concetti, idee, istituzioni, tutto quanto va
in vacca. Perché i legami sono un casino, la vita è complicata,
siamo sostanzialmente soli, gli dei sono incomprensibili e giocano
con regole tutte loro, che noi ci troviamo a subire e a cui non
possiamo controbattere; ma talvolta ci proviamo, talvolta pretendiamo
addirittura di governare la vita e gli eventi, e allora la nostra
condizione ci viene sbattuta in faccia. Perché la ubris
contemporanea consta nel cercare di capirli, i nostri dei dei, nel
tentare di rapportarsi con loro su un piano dialogico, come se gli
dei fossero tenuti a spiegarsi, a farsi capire da noi; e allora loro
si rivelano, non per vendetta, ma solo perché è così che
funzionano le cose.
L’anno
scorso Ari Aster esordiva con uno dei film più belli degli ultimi
anni, Hereditary, e quest’anno esce per NN editore La
volontà del Male di Dan Chaon; ed io sono contenta, perché
questo revival della tragedia classica è una cosa che fa godere come
poche, perché questo profluvio di sangue e fato è quello che ci
vuole nei nostri tempi anemici, edificati su gabbie concettuali e
letterarie che è ora che vengano distrutte, o per lo meno divelte,
perché la furia dei fatti lo impone.

Ecco,
le opere di Dan Chaon e Ari Aster portano avanti un discorso uguale
e contrario: raccontano storie fortemente legate al genere (horror
per quanto riguarda Aster, crime per Chaon) che però mordono a
sangue nei punti più nevralgici di una storia personale (e
collettiva), di un percorso evolutivo (e sociale), e, soprattutto, di
una delle basi del nostro essere emotivo, psicologico, identitario:
la famiglia, che si rivela come il luogo in cui il sangue viene
versato, corrotto, infettato da morbi che si trasmettono da genitori
a figli, in una catena di dolore e male e angoscia talvolta
inconsapevole ma sempre devastante, letale, endemica. E se Hereditary
racconta chiaramente ed esplicitamente la storia di un sacrificio
umano visto dalla parte dei sacrificati, lo stesso si può dire per
La volontà del male: viene detto esplicitamente che le
persone danneggiate non possono fare altro che perpetrare il male, a
prescindere dalla loro volontà; e allora ecco che si perpetra la
strage, con un sacco di morti e nessuna vittima, perché il solo
appartenere a un dato ambiente ti rende automaticamente carnefice,
vittima e sacerdote del rito necessario (al dio? all’inconscio?)
perché lo stato delle cose prosegua e si perpetui.
Cercare
di interferire con l’inconscio, tendere di padroneggiarne i
meccanismi, dire il non detto (e forse il non dicibile) diventa non
solo un atto dio tracotanza inaudita, che si paga con
l’autodistruzione, ma anche il veicolo privilegiato della
trasmissione del virus (o del demone); e le frasi di rito come “Ti
voglio bene”, “Se hai bisogno di parlare io sono qui” “Perché
sono tua madre” diventano uno specchio di una cattiva coscienza
dettata dall’inconsapevolezza, dall’illusione di vivere in un
ambiente protetto, di essere al salvo dal male. D’altronde, lo dice
anche Cristo nel Vangelo: è proprio quando ci compiaciamo per il
lindore delle nostre stanze interiori che arrivano i demoni e fanno
macello, scatenando un’apocalisse autentica, devastante,
annichilente.
Perché
alla fine il peccato assoluto, quello che porta alla distruzione e
all’annientamento, non è tanto
il non sapere, ma il pretendere di
sapere, il vivere la vita secondo certezze rifiutandosi di capire che
tali non sono, l’adagiarsi, il non comprendere che il conosci te
stesso non è un assioma ma un metodo, un percorso che non vedrà mai
la fine, e che si ripercuote immancabilmente in ciò che ci circonda;
e viene il dubbio che semplicemente non sia più possibile (se mai lo
è stato) calibrare la propria vita affidandosi a strutture esterne,
e l’affetto, anche se sincero, non è affatto garanzia di cura, di
guida verso la serenità. Scappare dal male e dal dio, rifiutarsi di
riconoscerlo, barricandosi in difesa di se stessi e in difesa da se
stessi, sono solo droghe esistenziali, rimedi fasulli e illusori.
Perché
nello schema della vita l’ordine e la stabilità sono allucinazioni
pericolose e ingenue, mentre le maledizioni sono ineludibili, le
distruzioni/rivelazioni si spalancano nel vuoto e nell’abisso, e
tanto vale allora guardarci dentro, perché tanto l’abisso ha già
guardato abbondantemente in noi.