Oggi è una giornata a rilento, di quelle che mi sono alzata e ho
dovuto fare stretching per ricordarmi che ho dei muscoli, di quelle
che le parole sono simboli e suoni che però non si sa cosa vogliano
dire, di quelle che il ritmo del respiro è quello delle boccate ai
cigarillos.
Quando
mi capita una giornata a rilento mi chiedo se l’atarassia tanto
auspicata dagli epicurei come la situazione di vita ideale sia un
qualcosa di vicino al distacco di matrice buddista (cosa che nel
complesso preferisco credere) oppure sia un qualcosa simile a questo
stato di ovatta che oggi mi circonda e mi separa dal mio corpo, dai
miei sentimenti e dai miei pensieri. Che poi, a pensarci con un
minimo di faticosa attenzione, non si tratta di essere imballati
nell’ovatta, quanto piuttosto di essere immersi nel miele, tutti
appiccicaticci di noi stessi e allo stesso tempo sconosciuti, lenti
nei movimenti, strascicati negli impulsi, concentrati solamente
nell’arrivare alla fine della giornata, scopo ultimo che in queste
giornate appare come l’obbiettivo più nobile ed arduo che l’essere
umano si possa porre: arrivare alla sera e alla notte senza fare
troppi danni a se stessi e al prossimo, quindi coricarsi e dormire, e
finalmente perdere anche quel minimo contatto che si ha con la
propria vita, perché mantenerlo costa davvero troppa fatica e non
porta a niente.
Il
cervello tende ad assopirsi, al lavoro diamo il minimo che possiamo
dare, mirando a rispettare quella disciplina che ci hanno imposto o
che ci siamo imposti noi; la routine si scompone in millimetri che
diventano micromillimetri che diventano particelle di
micromillimetri, tutto viene sminuzzato perché nelle giornate a
rilento ci si sente come Sisifo in una palude, e talvolta, nelle
giornate più gelatinose, siamo anche un Tantalo inappetente e
stordito che si guarda intorno e dice “bah”.
È
che a volte vivere diventa quasi un dragare l’esistenza senza
niente da cercare, e quindi si cerca di fare cose meccaniche che però
richiedono al contempo un’attenzione certosina, e per questo sono
generalmente rimandate ad altri momenti, che sono proprio questi
momenti qui.
E
allora per me le giornate a rilento sono giornate dedicate al
riordino mentale, a fare il punto di quelle piccole situazioni (dai
documenti da risistemare alle calze da mettere a posto) senza però
prendere decisioni, perché, davvero, mi richiederebbe troppo sforzo,
perché quello che provo non è quel distacco da me fresco e
ossigenante, pulito, che porta a mettersi all’opera per ottimizzare
o migliorare le proprie incombenze per dar loro nuovi scopi o nuova
vita; quello che provo è una distanza dal sentore afoso, sudaticcio,
in cui il massimo che si può fare è dare una spolverata e
riappuntarsi le cose da fare, che voglio fare, in un nuovo foglio
senza cancellature, in modo da poterlo guardare poi con tranquillità
e mente pronta.
E
allora, nelle giornate a rilento, scrivo post inutili e
autoreferenziali da fare schifo, semplicemente per mantenere un
minimo di ritmo e scuotere la muffa dai neuroni, evitando di
rimuginare sulla suddetta muffa perdendo di vista il neurone.
Perché,
semplicemente, il massimo piacere che si può ricavare da certi
momenti è l’orgoglio di tenere botta.